La Speranza è stata la parola chiave del Campo Adulti dell’Azione Cattolica diocesana che si è svolto al Santuario di Monte Carmelo a Villasmundo. Circa 70 adulti provenienti dalle parrocchie della Diocesi di Siracusa si sono confrontati ed hanno riflettuto sul tema delle due giornate.
Durante la prima giornata :
la Presidente diocesana dell’Azione Cattolica Valeria Macca ha sottolineato che: “Il tema del campo cioè quello della speranza, anticipa quello del prossimo anno associativo. Esso si lega anche al Vangelo di Matteo, che mediteremo quest’anno. Ma cosa c’entra la speranza, come virtù teologale, con l’annuncio, dopo la Resurrezione? Eccome se esiste un legame! Quando tutto, con la morte di Gesù, sembra perduto, Lui appare ai suoi discepoli e prova a ricordare a quegli uomini spaventati e disorientati, che sono chiamati a raccontare la bellezza di un incontro. Dobbiamo avere il coraggio di allargare gli orizzonti e raccontare la speranza. Sembra difficile ma il Signore ci ha detto di non avere paura perché Lui sarà con noi tutti i giorni! Viviamo questi giorni con questo spirito e con questa certezza. Buon cammino”. Lo specifico della speranza per i cristiani è la sua fondazione cristologica: “Cristo è la nostra speranza”. Allora, per i cristiani cosa significa sperare?”
L’assistente unitario Don Maurizio Aliotta nella sua riflessione ha detto: “Lo specifico della speranza per i cristiani è la sua fondazione cristologica: “Cristo è la nostra speranza”. Allora, per i cristiani cosa significa sperare? I cristiani, cittadini di questo mondo, condividono attese e delusioni comuni a donne e uomini nel loro tempo. Le attese, però, sono vissute alla luce della promessa della venuta del Regno. Da qui la domanda su come comprendere oggi le promesse del Regno, formulate da Gesù! «Ma come si potrà parlare – duemila anni dopo la testimonianza di Gesù di un regno di Dio a portata di mano e già presente tra i credenti?» In qualche modo lo stesso Gesù suggerisce la risposta suggerendo la dinamica della crescita del Regno (cfr. Mc 4,30-33 e par.; in part. cfr. Mt 17,20 e par.). Speriamo a partire dai nostri bisogni e desideri, ma vi è pure una eccedenza dell’iniziativa di Dio, che caratterizza la speranza cristiana, che si manifesta nel non perdere la speranza anche nelle situazioni in cui non sembra esserci possibilità di speranza. Inoltre, stando a San Paolo, credere sperare e amare sono i tre momenti dell’unico atto di ricezione della grazia che ci salva. L’uomo giustificato «vive di fede», infatti nella fede l’uomo riceve il dono della giustificazione (Rm 3-4); Nella speranza, poi, è anticipata la salvezza futura (Rm 8, 23-25.31-38; 5, 5-11; cfr. Ef 1, 13-14); Nella carità culmina e si ricapitola l’esistenza cristiana, guidata dalla legge interiore dello Spirito (Gal 5, 1.6.13-14; Rm 13, 9-10; 1Cor 13, 1-13; Col 3, 14). Discepoli di Gesù: segno di speranza accanto a chi non ha speranza, «pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi» (cfr. 1 Pt 3,15). “Testimoni di speranza” significa stare accanto, nella modalità giusta. Importante è il come, suggerito in un recente libro di Paola Bignardi: «L’esperienza della prova costituisce una frattura esistenziale dolorosa, ma generativa […] e si tratterà di una risorsa preziosa per una nuova pedagogia delle fede: perché, come Chiesa, invece di appoggiarsi in maniera strumentale e interessata sulle macerie dell’umano, si accetti di abitare in modo autenticamente umano le fatiche della vita. Lì germoglierà il senso cristiano del vivere e dello sperare, del lavorare e del fare festa, del patire e del gioire»”.
Nella seconda giornata abbiamo avuto la presenza di Dalila Ardito Incaricata Regionale del settore adulti di Azione Cattolica.
Nella sua riflessione Dalila ha parlato di tre aspetti fondamentali: Contemplare, Sperare e Prendersi Cura. “Quando tutto sembrava finito – dichiara Dalila -, Gesù appare ai discepoli per indicare nuovamente l’orizzonte della loro missione. Egli prova a ricordare a quegli uomini disorientati che sono stati chiamati a togliere gli ormeggi delle loro paure, per andare a raccontare al mondo intero la novità e la bellezza di una vita vissuta alla sequela del Signore. Il Vangelo di Matteo ricorda a ciascuno di noi che dobbiamo attrezzarci per solcare strade nuove e pensieri rinnovati, per poter consegnare un tesoro prezioso. L’invito rivolto da Gesù ai discepoli di ieri continua a riecheggiare nella Chiesa di oggi: avere il coraggio di allargare gli orizzonti e di percorrere ogni angolo del nostro paese per raccontare una speranza nuova. Sembra essere un progetto ambizioso e, a tratti, utopico, ma non lo è se ci ricordiamo che il Signore ci ha detto: «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Siamo nel secondo anno di questo triennio/quadriennio per alcuni e dal contemplare “con gli occhi fissi su di lui” continuiamo il nostro cammino sui passi della speranza “Andate, dunque”, un invito che ci mette alla prova, che ci chiede una prova: ci chiede di smuoverci, di svegliarci, di avere chiaro un orizzonte, di portare agli altri tutto quello che ci lega a Lui al punto da definirci figli di Dio, gridandolo con quella passione che è propria di un grande amore. Non a caso, l’impegno posto dall’AC per questo nuovo anno è riferito al lavoro con gli educatori e gli animatori. Se in loro manca la speranza, se non testimoniamo abbastanza la speranza di Dio che è in noi, come possiamo pensare di evangelizzare? Di attrarre, di testimoniare Cristo?
Significato della parola speranza: La speranza viene dal latino SPES ed è così definita: “Tendere verso una meta. Speranza, è quel sentimento, che nella tradizione cristiana, è anche una delle tre virtù teologali, per la quale il cristiano aspetta con fiducia da Dio il soccorso della sua grazia in questa vita e la felicità eterna nell’altra. E attende con il coraggio che solo Dio può dare. Gli antichi la definivano sorella del sonno. Marco al capitolo 5? “Talità Kum” dice alla figlia di Giairo: “Svegliati, alzati, torna a vivere, nonostante le fatiche, nonostante le difficoltà, talità kum, torna a splendere della mia luce.”
Se dovessi associare la speranza ad un oggetto la legherei all’ancora. Quel qualcosa di saldo capace di non fare andare alla deriva. Si perché cos’è la speranza se non il cardine di ogni incrocio che incontriamo lungo il cammino della nostra vita, la nostra coordinata, quell’ancora, appunto, a cui aggrapparci per poter dire: ancora, avanti, posso davvero farcela, nonostante il dolore vedrò ancora la meraviglia. “Talità kum” dice Gesù alla figlia di Giairo, Quella bambina che dorme è la speranza, la virtù che occorre svegliare ogni giorno, farla alzare e rimettere in cammino sulla strada della vita. Il cristiano non può non vivere nella speranza perché è proprio in Cristo che trova la propria speranza (leggiamo in Timoteo 1,1 “Cristo, nostra speranza”). Noi siamo fatti di speranza, impastati e lievitati nella speranza. Già il concilio vaticano II con la costituzione pastorale Gaudium et spes aveva avvertito la necessità di infondere speranza nel popolo di Dio.
Perché Sperare è voce del verbo VIVERE. Perché se continuo a sperare alla luce di Cristo, sotto la sua croce, se continuo a credere in un bene futuro, in un cambiamento positivo per me e per il mondo, vuol dire che sono ancora vivo, che non mi sono appiattito, che sono sveglio, e soprattutto che devo alzarmi e andare, con il Suo aiuto: “ANDATE DUNQUE”
Cristo è la speranza. Egli non rinchiude l’uomo tra i suoi sbagli e i suoi fallimenti, ci incoraggia, ci conforta, ci indica il primo passo possibile da fare per iniziare ad uscire. Senza giudizi né condanne, Gesù ha speranza nell’uomo: per lui nessuno è irrecuperabile, perso per sempre; e questo deve dare speranza. Questo ci deve dare la forza per camminare verso il nostro orizzonte. Dio non ci salva dalla sofferenza, ma mentre siamo dentro la sofferenza, non ci svuota dal dolore, ma lo riempie con la sua presenza, per trasformarlo. Non ci evita le tempeste, ma ci dà il coraggio di attraversarle.
Dove l’uomo si ferma ecco che Dio fa ripartire; con la speranza ridà colore a ciò che si è ingrigito, torna a far stare in piedi. “Homo viator, spe erectus” dice San Paolo: è la speranza che tiene l’uomo in cammino, dritto. Capace di futuro, aggiungo.
Ecco allora che la speranza diventa perseveranza, coraggio, resistenza.
Ciascuno di noi è portatore di salvezza, ci dice Dio. E ce lo dice con quel verbo che dovrebbe accompagnare ogni nostro nuovo giorno, se lo viviamo davvero alla luce del mistero della croce:
“Alzati, Talità Kum”. La speranza è l’unità di misura dell’attesa, ciò che può dare senso all’attesa, alle tante attese che siamo chiamati a vivere. Ecco perché per me sperare e voce del verbo vivere.
Perché Sperare vuol dire restare, ascoltare, abbracciare. Sperare è avere il coraggio di uscire dalle proprie sicurezze, di andare, di entrare nelle vite e testimoniare una speranza sempre nuova che non delude mai: l’amore incondizionato di Dio.
Siamo noi la speranza ed è per questo che siamo chiamati ad essere speranza gli uni per gli altri, quella mano che prende per mano e aiuta ad attraversare la tempesta,
S. Agostino dice: “È solo la speranza che ci fa propriamente cristiani”. E aggiungo, è la speranza che ci rende umani, fatti di carne e ossa, perché è attraverso di noi che questa virtù teologale deve essere visibile, vissuta, trovare anche un dove, un per chi.
Con il battesimo e con il nostro vivere da laici impegnati, siamo chiamati INSIEME ad essere speranza nelle precarietà della vita, di chi non ha un lavoro, di chi non sa come portare il pane a casa. Visto quanto sta accadendo attorno e accanto a noi ci stiamo chiedendo:
Quale segno di speranza possiamo essere nella società civile, nelle scuole (dove c’è molto da rifare soprattutto dopo i due anni in DAD), nella politica (fra qualche giorno saremo chiamati a votare)…
Stiamo vivendo tutti un periodo difficile, molte nostre associazioni sono decimate; con la scusa della pandemia le nostre chiese, la nostra AC, continuano ad essere vissute a distanza; l’associazione non è più la priorità per molti. Non vedendo da tanto alcuni amici aderenti abbiamo sperato nel loro ritorno, ci siamo chiesti perché non ci sono?
Contiamo le assenze degli adulti, i giovani si allontanano, e i ragazzi vengono quasi per forza, ma se sperare è vivere da cristiani, sperare è già evangelizzare… non è che forse oggi la nostra evangelizzazione è sterile proprio perché in noi apostoli del 2022 manca la speranza? Bisogna sceglierla la speranza, confermarla, praticarla. Non ci interessano i numeri, ma le persone. Non possiamo parlare di speranza se non la coniughiamo alla volontà di prenderci cura…
E “prendersi cura” è Il verbo che ci accompagnerà il prossimo anno, ma non è una cosa confinata solo all’anno associativo 2023-2024. Tutto parte da ora, qui e ogni giorno. Scegliere l’AC è scegliere di prendersi cura di chi cammina con noi, in ogni tempo e in ogni luogo.
Fra qualche mese rinnoveremo il nostro SI a Cristo anche attraverso l’AC… non viviamo il tempo dell’adesione come un rinnovo automatico, pensiamoci; scegliamola l’AC, non perché l’abbiamo sempre fatto, ma perché vogliamo farlo ancora, più della prima volta, come succede tra due innamorati che si confessano il loro amore ogni giorno anche a distanza di anni.
Aderire vuol dire prendere forma e la forma più bella che noi possiamo avere è quella di Cristo.
Ci parla di speranza anche il nostro progetto formativo, uno dei pilastri che dovremmo conoscere tutti: Al capitolo 4 si legge così: “Evangelizzazione nuova è parlare di una vita nuova e bella in molti modi: tutti hanno la loro radice nell’esperienza. Si rende ragione della propria speranza, cioè si sa dire perché e come si spera, ma si può farlo in modo convincente se lo si sperimenta, se si può raccontare la propria speranza: allora anche le ragioni sono convincenti. Si evangelizza raccontando una vita abitata dal Vangelo”
Charles Péguy, scrittore francese che a 34 anni si convertì al cattolicesimo, scriveva in forma poetica : «La virtù che preferisco, dice Dio, è la speranza. La fede non mi stupisce… la carità neppure. Ma la speranza…. ecco quello che mi stupisce: è proprio la più grande meraviglia della mia grazia». Ciascuno di noi è chiamato a portare quella speranza che è la Pasqua che quotidianamente viviamo, quella che è intrisa del profumo del legno della croce, ma che già sa di resurrezione, quella che dal dolore porta alla vita. Sembra difficile, ma non lo è perché: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
Armida Barelli diceva: “Ho imparato che le nostre scelte possono fare davvero la differenza. Perciò non arrenderti mai, ma accogli le crisi come opportunità nuove.”
Non perdiamo la speranza, non arrendiamoci mai, non siamo una barca in balia delle onde, ma una barca che ha come ancora il Signore. Non facciamoci prendere dall’apatia perché è così che muoiono le cose, le relazioni… è così che si spegne la vita! “Talità kum”, alzati!
Misuriamo ogni attesa con la speranza, è questo il tempo per esserne semi e seminatori, insieme, in maniera sinodale. Respiriamo per vivere, ma per noi cristiani re-SPERARE è vivere”.
Salvatore Pappalardo